Vedo Rosa Luxemburg come la marxista che fece il massimo per progredire le teorie rivoluzionarie di Karl Marx nel periodo successivo alla morte di Marx ed Engels. A quel tempo, quando il movimento socialista si stava evolvendo in una direzione sempre più lontana dalla posizione di Marx – il riformismo socialdemocratico da una parte e il centralismo burocratico leninista dall’altra – la Luxemburg fu la principale esponente di un marxismo secondo lo spirito di Marx.
Un segno di ciò, che a prima vista può sembrare paradossale, sta nel fatto che fu una dei pochissimi, tra i principali marxisti, a non trattare gli scritti di Marx come sacre scritture. Laddove l’ortodossia marxista dell’epoca, in tutte le sue varianti, si basava sull’assunto che una citazione di Marx fosse una prova ultima della correttezza di una posizione, e i dibattiti troppo spesso prendevano la forma di una battaglia di contrastanti citazioni o interpretazioni degli scritti di Marx, la Luxemburg non temeva di dire che Marx ed Engels si sbagliavano riguardo a specifiche questioni.
In questo, Rosa Luxemburg rispecchiava moltissimo lo spirito dello stesso Marx. Marx era inflessibilmente critico, sempre alla ricerca di nuovo sapere e di conoscenza più profonda, e dell’opinione che la sua conoscenza di una materia non fosse mai adeguata. Da ciò nascevano le sue ben note difficoltà a portare a termine qualsiasi lavoro, considerato che non finiva mai di investigare l’argomento nelle sue infinite ramificazioni. Fu Marx a dire in tono di scherno “io non sono un marxista” e ad enunciare che “poiché non sta a noi creare un progetto per il futuro che sarà valido per sempre, a maggior ragione non c’è dubbio che il compito di noi contemporanei è una rigorosa valutazione critica di tutto ciò che esiste, rigorosa nel senso che la nostra critica non deve temere né i propri risultati né il conflitto con l’autorità costituita”. Il marxismo della Luxemburg fu critico e “marxista” in quel preciso senso.
Rosa Luxemburg vide i pericoli derivanti dal riformismo e dal centralismo leninista prima di chiunque altro. Entrò in polemica con il revisionismo di Bernstein nel 1898 con il suo scritto Riforma sociale o rivoluzione?, che a mio avviso resta la più forte critica al riformismo socialdemocratico mai scritta. Ella avvertì che l’adozione di tale approccio avrebbe provocato risultati disastrosi e il collasso della socialdemocrazia e della Seconda Internazionale nel 1914 provarono quanto corretti furono stati i suoi avvertimenti.
La Luxemburg vide anche i rischi inerenti alle teorie organizzative di Lenin; nel suo saggio critico del 1904, Problemi di organizzazione della socialdemocrazia russa, avvertiva che “l’ultracentralismo raccomandato da Lenin è pervaso dallo spirito sterile del guardiano notturno. Non è uno spirito positivo e creativo. La preoccupazione di Lenin non è tanto quella di fecondare l“attività del partito, quanto quella di controllarla, di restringere il movimento e non di svilupparlo, di legarlo e non di unificarlo”.
Nel 1917, dopo la rivoluzione russa, Rosa Luxemburg mise in guardia dal pericolo della dittatura. Trotsky commentò con tono sprezzante che “noi non siamo mai stati fanatici della democrazia formale”, e la Luxemburg gli rispose che “in realtà ciò significa questo: abbiamo sempre distinto il nocciolo sociale dalla forma politica della democrazia borghese; abbiamo sempre svelato l’amaro nocciolo della diseguaglianza e della mancanza di libertà nascosto sotto la dolce scorza dell’eguaglianza e della libertà formali, non per rigettare queste ultime ma per spronare la classe operaia a non ritenersi soddisfatta della buccia, ma piuttosto, conquistando il potere politico, a creare al posto della democrazia borghese una democrazia socialista, e non distruggere ogni democrazia. La democrazia socialista, però, non è qualcosa che inizia soltanto nella terra promessa dopo che sono state poste le fondamenta dell’economia socialista; non è una sorta di regalo di Natale per il meritevole popolo che nel frattempo avrà fedelmente sostenuto un pugno di dittatori socialisti. La democrazia comincia contemporaneamente all’inizio dell’opera di distruzione della dominazione di classe e di costruzione del socialismo”.
Allo stesso tempo, Rosa Luxemburg riconobbe che in condizioni di guerra civile “sarebbe pretendere qualcosa di sovraumano da Lenin e dai suoi compagni se ci si aspettasse da essi che facciano apparire d’incanto, in tali condizioni, la più raffinata democrazia, la più esemplare dittatura del proletariato e la più fiorente economia socialist... Il pericolo inizia solo quando essi fanno di necessità virtù e vogliono cristallizzare in un sistema teorico completo tutte quelle tattiche che essi sono costretti a sostenere a causa di queste fatali circostanze, raccomandando così il medesimo atteggiamento al proletariato internazionale come modello di tattica socialista”. Tuttavia ella sostenne che la situazione nella Russia rivoluzionaria richiedeva un dibattito e un’attività politica intensa, ed insistette che “la libertà solo per i sostenitori del governo, solo per i membri di un partito – per quanto numerosi possano essere – non è libertà. La libertà è sempre ed esclusivamente libertà di pensare diversamente. Non a causa di un qualche fanatico concetto di ‘giustizia‘, ma perché tutto ciò che è istruttivo, salutare e purificatore nella libertà politica dipende da questa caratteristica essenziale, e la sua efficacia svanisce quando la ‘libertà’ diventa un privilegio speciale”.
La Luxemburg è una dei pochi teorici dell’epoca le cui opere mi sembrano sempre recenti e pertinenti quando le rispolvero.
Considero un cardine del pensiero della Luxemburg la sua prospettiva rivoluzionaria. Ella è favorevole a una spinta per le riforme all’interno del capitalismo, ma è assolutamente certa che le riforme non possono produrre cambiamenti fondamentali, che il socialismo può essere raggiunto solo attraverso la rivoluzione, e che l’attività dei socialisti e delle organizzazioni socialiste deve essere orientata sempre verso il fine ultimo della rivoluzione, qualunque siano le esigenze della situazione attuale.
Di pari importanza è il suo approccio ai problemi di organizzazione e strategia. Ella non credeva nelle panacee organizzative, ossia che esistesse una forma di organizzazione che fosse il modello oggettivamente corretto. Credeva, invece, in una flessibilità tattica di principio, così da adattare tattiche e forme organizzative a seconda della situazione, pur mantenendo chiari obiettivi e principi. Credeva fermamente nell’importanza dell’organizzazione politica, ma non che un’organizzazione politica potesse indirizzare la lotta politica lungo direzioni predeterminate; piuttosto, credeva che un’organizzazione efficace fosse tanto il prodotto quanto l’istigatrice della lotta.
Translated from the English by Marco Trapanotto (Nottingham, United Kingdom)